Ad inizio anno, complice la stagione invernale, ci sono state settimane in cui mi sono sentita come in una tana.
Protetta nel mio guscio e allo stesso tempo rinchiusa, senza possibilità di espandermi.
Da una parte, sentivo il bisogno di espansione - tante idee per la testa, tanta voglia di condividere pensieri, progetti, lavori con chi là fuori ha bisogno di ricevere quello che avevo da dare.
Dall’altra, avevo un grande timore di condividere - sarà banale? a chi interessa davvero? l’ho già sentito dire da altri, vale la pena che lo dica anche io? sarà il momento giusto per esprimere questo concetto? e se mi ‘brucio’?
Sì, perché condividere porta con sé il donare qualcosa di noi.
E donare qualcosa di noi può farci sentire esposte, vulnerabili, attaccabili.
Durante tutto quel mese di gennaio, il mio corpo ha in qualche modo assecondato il mio stato d’animo con malanni di stagione prolungati.
Era come stare in un circolo vizioso: il timore di condividere mi portava a richiudermi in me stessa, non stavo bene e di nuovo mi richiudevo in me stessa.
Peccato, anzi per fortuna, che c’era una parte di me disperata nel voler uscire.
Quella parte di me che sapeva che ero lì per un motivo.
Quella parte di me che sapeva benissimo come funziono e, soprattutto, come non funziono.
Così, ho fatto uno sforzo per uscire dalla mia tana ed ho lasciato sul divano la voglia di non espormi. Ti racconto come ho fatto con le parole che ho scritto proprio a fine gennaio., chissà che possa darti qualche spunto.
Ho questo libro sulla scrivania da mesi, forse un anno.
Si chiama “The Genius Zone” ed è un approfondimento del mio libro-bibbia “The Big Leap” di Gay Hendricks.
Sapevo che mi avrebbe dato molto, che mi avrebbe in qualche modo richiamato al perchè ho iniziato Radici Flessibili, al perchè sono così fissata con la zona di genio.
Ecco, leggere quelle prime righe è stato per me come salire in auto, accendere la radio ed ascoltare la mia “feel good song”.
Hai presente quando ascolti quella canzone che ti fa sentire bene dentro e ti da un’energia che quasi non riesci a contenere? Ecco, per me è stato come toccare le corde che fanno suonare la mia missione e la mia visione, creando una musica unica e travolgente.
In questo caso si trattava dei “si fa così”, “non si fa in questo modo”, “questo è il modello”, “la gente si aspetta questo non quello”, etc.
Ecco queste best practice, queste regole, su di me hanno l’effetto inverso.
Invece di farmi sentire più sicura nel fare qualcosa perchè altre/i mi hanno detto come fare o non fare (per loro esperienza, per loro formazione, perché l’hanno visto fare), tutto questo mi blocca. Mi congela.
Mi mette come in una gabbia dove sono al sicuro, ma da cui non riesco ad esprimermi come vorrei. Come uno scrittore davanti alla pagina bianca. Abbassare quel volume mi ha aiutata a pensare a come avevo fatto in altre situazioni simili, a modo mio.
Mi ha aiutata a guardare a chi va controtendenza, trovando la sua voce e il suo stile.
Mi ha aiutata a parlare con persone care che mi conoscono e che hanno visto subito cosa non andava.
Mi ha aiutata a dedicare del tempo al journaling, lasciando andare i pensieri insieme alla mia penna ed osservando quello che emergeva, senza giudizio.
Forse andrò contro tendenza, ma a me Instagram piace.
Mi piace perché trovo (quasi) sempre qualcosa che mi ispira, che mi arricchisce, che mi fa riflettere.
Devo però stare molto attenta a come lo uso. E soprattutto a non farmi usare.
Ho deciso di approfittare della funzione “mute”, fantastica soluzione per quando vogliamo mettere in pausa la voce di altri.
Quella voce che, se in alcune fasi della vita ci risuona, in altre non entra in armonia con la nostra.
Nel mio caso è stato il confronto e il paragone con colleghe o professioniste che fanno un lavoro simile al mio.
(Qui sarebbe bastato ricordarmi che io sono io, e loro sono loro. Ma sai com’è, a volte abbiamo bisogno di estremi rimedi.) Allo stesso tempo sono andata a ripescare voci che in quella fase mi risuonavano.
Voci fuori dal coro magari, voci che mi aiutavano a fare emergere quella parte più dormientedi me in modo dolce e non spinta dal sentirmi indietro rispetto ad altre.
Nel 2020 ho fatto il test dei talenti CliftonStrengths Online Talent Assessment come parte di un percorso di mentoring di gruppo. (*)
Ero all'inizio del mio percorso di ri-scoperta personale.
Imparare che tutti noi abbiamo dei talenti che usiamo in modo unico e diverso dagli altri, talenti che possono anche trasformarsi in qualcosa di non funzionale se usati male/troppo/troppo poco, per me è stata la svolta.
Qualche giorno fa mentre scrivevo nel mio journal, ho fatto una lista di quello che pensavo mi avrebbe aiutata in quel momento di letargia.
Tra le tante cose ho scritto: “riprendere il test dei talenti e capire come posso usarli al meglio”.
Così ho fatto.
Mi è servito a mettere in pace la mente e a dare un senso alla mia parte più logica.
Mi è servito, di nuovo, per riconnettermi con il mio why, con il perché ho scelto di seguire questa strada.
E’ stato come andare a rileggere la lista degli ingredienti di cui sono fatta e sapere che funziono in questo modo per un motivo.
E mi ha ricordato anche che, se aggiungo ingredienti che stridono con quelli che ho nella mia essenza, allora non funziono più così bene o non funziono affatto.
(*) sui talenti si può lavorare in diversi modi, partendo ad esempio dall'auto osservazione e approfondendo con un percorso di coaching personalizzato. Non per forza è necessario un test e sono convinta del fatto che il test sia utile solo se abbinato ad un lavoro introspettivo a priori o comunque in concomitanza.
Quello che intendo è che il test può essere un supporto, una sorta di cartina torna sole e non deve essere una gabbia.
Non so se quello che ti ho raccontato oggi ti risuoni in qualche modo.
Una cosa che mi piacerebbe che ti portassi via da questo episodio è un pensiero nato mentre scrivevo una delle mie pagine di journaling:
“Non lasciare che le ricette degli altri rendano insapore il tuo piatto forte.
Scegli i giusti condimenti e le giuste spezie per far esaltare i tuoi sapori.
Forse non saranno quelli che usano tutti, forse abbinati al piatto di altri il risultato non sarà buono.
Ma se risaltano i tuoi sapori, le tue sfumature uniche, allora il piatto che hai da offrire al mondo sarà una vera prelibatezza.
Ti farà stare bene ogni volta che lo preparerai e sarà apprezzato da chi ha bisogno di assaporarlo.”
Ti lascio con questa domanda, se hai voglia di prenderti un attimo per riflettere:
quali sono gli ingredienti che rendono unico il tuo piatto forte
O, se vogliamo uscire dal contesto culinario:
quali tue caratteristiche, inclinazioni, talenti, rendono speciale quello che sei e che hai da offrire?
Io ti ringrazio, forse questa volta anche di più, per avermi letta ed aver accolto una parte un po’ intima di me.
Come sempre sono molto curiosa di sapere se queste parole hanno fatto nascere in te qualche pensiero, emozione, riflessione.
Se vorrai condividerle con me, sarò felicissima di leggerti.
Noi ci sentiamo al prossimo episodio.
Se hai piacere, scrivimi per raccontarmi la tua esperienza, sarò molto felice di leggerti.
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Insieme potremo guardare alla tua situazione, capire se possiamo lavorare insieme e scegliere il percorso di coaching più adatto a te.
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Ciao, sono Francesca, life business coach certificata. In questo blog ti racconto cos’è il coaching e cosa significa per me, condividendo strumenti e risorse per il cammino di ognuna di noi verso la versione migliore di se stessa.
Mi chiamo Francesca e sono una life business coach online con una grande passione per i nuovi inizi. Accompagno le donne ad allineare il proprio business alla loro vera essenza, attingendo a talenti, passioni e valori.